Le due installazioni _ Laguna _ sono nate con due ruoli sostanziali nel contesto di Venezia, uno “a terra ferma” e l’altro “in mare”, per accogliere plurime relazioni, visive e luminose, in un contesto fisico_visivo e storico.
Sono oggetti da guardare ma, soprattutto, oggetti attraverso i quali vedere. Nascono con la volontà di affermare un modo possibile di osservare Venezia, per mezzo di specchi sferici, come degli Aleph di Borgesiana memoria, guardandola nella sua vocazione “all’infinita bellezza” vissuta per immagini, specchiate e moltiplicate. Immagini che vengono colte nei e dai campi dello specchio sferico, e “sospese” in un campo di luce candida e astratta.
Opere degli architetti Stevan Tesic e Milena Veljkovic
Guardare_Vedere
In questo gioco del far vortice degli sguardi, rimandati da uno specchio all’altro, accade che non sia più primario l’oggetto che viene disposto e che trova ruolo e significato nel contesto, ma che sia vero anche l’opposto. L’oggetto, infatti, si fa palinsesto che “implode” in modo testimoniativo l’immagine del contesto, restituendolo all’osservatore in modo traslato, in una pluralità di visioni e potenziali significati, non coincidenti con la sola visuale alla quale siamo abituati. Al contrario viene stimolata una percezione multipla, una consapevolezza sensoriale incline alla sublime moltitudine.
La virtualità
La _ laguna è un oggetto/processo fondato su una duplice virtualità.
La prima virtualità è visiva e prospettica, nasce dalle proprietà dello sguardo che si rivolge al perpetuo interrogarsi, che intercorre tra i due specchi, orientati tra loro in modo di poter dialogare. Questa virtualità è rivolta principalmente allo spazio esterno di Venezia. L’idea sta nel “comprimere”, in un quadro trasformativo, entità compositive del paesaggio di Venezia, urbano e lagunare, in una specie di omnivisione caleidoscopica della scrittura architettonica, sospesa tra acqua e cielo. È un modo, anche, di avvertire e vedere riflesso attraverso l’oggetto _ Laguna ciò che esiste, ma non fa parte del nostro ordinario campo visivo, per quanto ampio, per rimandare ad un risveglio della percezione del non visibile, richiamato dal gioco degli specchi.
L’altra virtualità è di tipo metafisico e concettuale, che fa convivere due termini apparentemente opposti, il sincronico e il diacronico. Questa nasce dalla proprietà degli specchi sferici di far coesistere, in sincrono, immagini del contesto che altrimenti l’occhio umano non può percepire in contemporanea. Nella percezione simultanea di vari elementi costitutivi dello spazio l’osservatore viene invitato a far parte di un insieme diacronico, richiamando anche una quarta dimensione temporale di lettura del contesto.
In uno spazio, definito in termini formali e storici dalle pareti ospitanti i quadri del ciclo pittorico di Jacopo Palma il Giovane, come è l’Oratorio dei Crociferi, se percepito appunto attraverso la visione concentrata e moltiplicata dagli specchi sferici, si avverte forte una dimensione evolutiva e retrospettica. Questa, coinvolgendo l’osservatore, giunge a fargli percepire una sensazione di storia “maggiore” intesa come possibile partecipazione ideale ad essa, al “plurale”; si perviene, quindi, anche a un saper guardare e riconoscere se stessi in essa, attraverso la _ Laguna.
La Luce
La luce che fluttua a modo di aura alla base di ogni specchio, quasi per sottrarlo al suo legame fisico con la forma sottostante, rende quieta e radiosa questa relazione visiva, che intercorre tra il contesto, l’oggetto e l’osservatore. Ci si specchia in due pozzi di luce, per accedere alla moltitudine delle realtà visive percepibili e a una dimensione di introspezione.